Fine giornata

«E secondo te io non sono stanca? Chi credi l’abbia tenuto tutto il giorno?»
Claudia era stremata e urlava contro Michele rientrato da lavoro.
Appena lui aveva varcato la soglia di casa gli era corsa in contro, non per salutarlo amorevolmente, ma per scaricargli in braccio Samuele, il loro figlio di quattro mesi, che piangeva disperato. Lo aveva accudito tutto il giorno e non vedeva l’ora di potersene staccare e avere così un momento per se stessa.
«Sto solo dicendo che ho bisogno di riposare un attimo! Sono appena rientrato dopo una giornata di merda! Me lo passi come fosse un pacco appena entro in casa! Tutti i giorni la stessa storia! Dammi un attimo per respirare e poi lo prendo io!»
«Tu non sai cosa vuol dire averlo tutto il giorno! Credi possa fare una pausa durante la giornata? Io non ho mai un momento, mai! Vuoi allattarlo tu? Vuoi provare com’è avere uno che ti succhia le tette fino a farti sanguinare i capezzoli? Perché cazzo non capisci?»
«Ho capito, ho capito! Che palle! Adesso ho anche la colpa di non avere le tette? Io non ne posso più. Non riesco mai a godermi casa mia, mai un momento da solo. Passo dalle rotture di palle del lavoro all’inferno di questa casa! Perché non esci ogni tanto? Prendi Samu e fai un giro nel pomeriggio, così posso rientrare, riposare un attimo e poi ci penso io.»
Il labbro inferiore di Claudia cominciò a tremare e lei prese a sussurare, cercando di resistere a quel pianto che non riuscì a trattenere in alcun modo.
«Dovrei pure uscire di casa adesso? Neanche in casa mi vuoi più? Forse non mi vuoi proprio, forse non mi hai mai voluta, così come non hai mai voluto Samu.»
«Dai, non fare la vittima adesso e non crocifiggermi. Sto solo cercando di trovare delle soluzioni per fare funzionare la cosa!»
«Ma che soluzioni vuoi trovare Michi? Tu non ti rendi conto di quanto sei viziato! Non fai un cazzo in casa: ti limiti a buttare la spazzatura e lo fai solo per uscire di casa quando non ne puoi più. Io faccio spesa, cucino, pulisco. A volte mi pare di avere due figli invece che uno solo. Ma quando cazzo cresci?»
Lasciò cadere le braccia e con quel gesto ogni tentativo di trattenere le lacrime fu vinto. Andò in camera abbandonandosi a un pianto nervoso, cercando di riprendere fiato tra i violenti singulti.
Michele non la seguì, rimase a guardarla in silenzio. Era dispiaciuto di vederla così sofferente e quelle parole che gli avevano sbattuto la verità in faccia lo ferivano nell’orgoglio. Era davvero un cazzone come diceva Claudia? Forse aveva ragione lei, ma che ci poteva fare? Lui aveva dei limiti e gli pareva che lei gli chiedesse l’impossibile. Era esausto. Questa vita non faceva per lui.
Samuele piangeva e lui guardava il vuoto con gli occhi imperlati, quasi non si accorgesse della disperata richiesta che aveva tra le braccia. Appoggiò il piccolo sul divano senza nemmeno guardarlo e uscì sul balcone accendendosi una sigaretta. Non pensò a nulla mentre la fumava, solo a mandare giù il groppo che aveva in gola nel tentativo di non piangere. Lui non era un bambino. Si ricordò di Samuele solo in quel momento. Spense la sigaretta nel vaso di gerani e come nulla fosse scavalcò la ringhiera, lasciandosi cadere dal quarto piano.

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