Felicità innocente

“Un altro coglione conosciuto su Tinder. Ma perché spingeva in continuazione sul clitoride? Forse non sapeva cosa farci. O pensava fosse un bottone che mi accendesse come un frullatore da un momento all’altro? Fargli una sega è stata una liberazione. E meno male che si è accontentato! Sai che palle avessi dovuto scoparci! Non sapeva come muover le mani, figurati il resto! Ma almeno parlare dico io! Almeno qualcuno fosse in grado di entrarmi in testa, stuprarmi il cervello per farmi provare qualcosa. Non parliamo di sentimenti, perché se vuoi scopare non puoi avere un cuore. Che teste di cazzo i ragazzi di oggi. Forse sono io la testa di cazzo, che ancora credo di poter trovare qualcuno su questi social di merda.”

Irene rientrò a casa e, dopo aver puntato la sveglia alle sei come tutti i giorni, crollò sul letto. Quando suonò le parve di aver dormito un’ora. Ma come cazzo era possibile che nemmeno con sette ore di sonno riusciva a sentirsi riposata? Si stiracchiò sbadigliando, si grattò il pube, fece la doccia che avrebbe dovuto fare la sera prima e una volta vestita uscì di casa, senza truccarsi, così quei coglioni di clienti del cafè non l’avrebbero molestata più di tanto.
Ma si sbagliava.
«Ehi Irene, oggi sei una bellezza acqua e sapone!»
«Sei favolosa senza trucco.»
«Sei la mia preferita perché sei diversa, non ti trucchi come tutte le altre.»
«Scusa eh, ma te lo avevo chiesto macchiato caldo, non freddo.»
Ci mancava anche la stronza inacidita, invidiosa del tempo che su di lei aveva posato pesantemente la mano mentre Irene pareva averla sfiorata appena.
“Se ti vesti comoda ti danno della troia, se ti copri te la tiri perché sai di essere figa e vuoi fare l’alternativa, se ti trucchi sei un troione, se ti trucchi poco non sai truccarti, se non ti trucchi te la tiri di nuovo perché ostenti la tua bellezza naturale.”
Che poi Irene giovanissima non lo era più. Aveva ventisette anni, con la fortuna di mostrarne qualcuno in meno. Volto grazioso e pulito e labbra leggermente carnose, che agli occhi di alcuni uomini davano un sentore di angelo puttana che a quanto pare faceva tirare loro il cazzo. Fisico asciutto, vita stretta, seno sodo, culo marmoreo, gambe tornite e statuarie.
Era stanca di lavorare al Flower Cafè, un locale per colazioni e brunch che puntava ai turisti di Verona, ma strizzava l’occhio anche ai cittadini, offrendo loro quel sentore di cafè intellettuale e moderno che piaceva tanto. Avrebbe voluto lavorare nel turismo, fare la guida. Parlava tre lingue cazzo. Molto comodo per i titolari del Flower. Aveva provato con alcuni video sui social, ma purtroppo i suoi follower vedevano solo una bella figa e non ce la facevano proprio ad apprezzarla per le sue conoscenze e le capacità intellettuali. Se ne voleva andare da quel bancone del locale, dove non poteva nemmeno chinarsi per prendere qualcosa che subito sentiva occhi stupratori fantasticare sul suo corpo.
Nei primi giorni di Aprile un aspirante scrittore francese di nome Andrè diventò cliente fisso. Capelli castani e mossi e un’aria intellettuale molto affascinante. Non era come gli altri, apprezzava la bellezza di Irene in maniera delicata e quando la guardava negli occhi le vedeva dentro, la sentiva. Almeno questo era ciò che piaceva pensare a Irene, perché lei lo sentiva così. Lui rimaneva fino a chiusura a scrivere a computer e ormai avevano fatto amicizia. Nonostante flirtassero spesso, lui non le aveva ancora chiesto di uscire e così una sera lo fece lei.
«Hai già fatto un giro per Verona? Ho studiato arte, se ti va ti faccio fare un giro e ti racconto alcune curiosità.»
Quando lui accettò si sentì emozionata come una ragazzina. Le piaceva proprio, soprattutto pensare che fosse uno scrittore. Beh, non ancora, ma che importava? Nemmeno lei era una guida turistica, eppure gli avrebbe fatto vedere la città e sperava tanto lui le avrebbe dedicato qualche verso, magari in francese, magari prima di usare la lingua in altro modo.
Parlarono e risero tanto, mangiarono qualcosa in Piazza delle Erbe e camminarono a lungo facendo tappa in tutti i posti più iconici della città, con qualche piccola curiosità accessoria che solo una veronese appassionata d’arte poteva svelare a un francese. A notte tarda si ritrovarono a camminare attorno all’arena, vicino a dei lavori in corso. Irene prese la mano di Andrè e senza pensarci tanto lo trascinò dentro il cantiere.
«Non credo sia possibile Irenè.» disse lui con quel suo accento francese che le masturbava le ovaie.
«Ma sì tranquillo, conosco tutti sti pertugi e a quest’ora non controlla nessuno. Possiamo vederla di notte e sarà fantastica, vedrai.»
Lui la lasciava fare. Era più grande di lei, ma a vederli insieme non sembrava. E dopo aver visto l’arena si nascosero sotto un portico e fecero l’amore.
“Si cazzo, finalmente! Sono la tua Giulietta, amami, scopami Romeo! Così, sì ti sento, più forte. Cazzo, potrei innamorarmi.”
Vennero quasi nello stesso momento e per Irene fu un segno che marcava Andrè come una sorta di anima gemella. Lui rimase dentro di lei qualche minuto mentre fremeva di piacere e a lei parve un ragazzino innamorato. Lo adorava. Gli annusò i capelli ricci e lo strinse a sé, desiderosa di sentirlo ancora dentro. Si stava innamorando? Quanto sarebbe stato bello se entrambi si fossero innamorati.

Passarono dieci anni da quella notte primaverile. Andrè non era ancora diventato uno scrittore, ma faceva l’editor per alcune case editrici e di tanto in tanto tornava in Francia per lavoro.
Irene lavorava ancora al Flower, era diventata responsabile di sala. La mano del tempo era passata ad accarezzarla più forte in questi anni. Era ancora una donna bellissima, ma ora i clienti abituali concentravano le loro attenzioni su Marika, una ragazza di vent’anni che lavorava lì da qualche mese. A quanto pare agli uomini piace la frutta fresca. Non gli importa chi sei, che fai, cosa pensi. Basta che tu possa soddisfare in qualche modo la loro perversa immaginazione. Era contenta di non essere più l’oggetto principe di quei viscidi merdosi, ma difendeva Marika quando qualcuno si allargava troppo.
Finito il turno si diresse a piedi verso casa, come era solita fare. Le piaceva passeggiare per la città, osservandola come un’amica alla quale non aveva mai potuto confessare il suo amore saffico. Arrivata sotto casa vide Andrè attraverso il balcone, intento a preparare uno dei suoi piatti francesi.

“Forse il segreto della vita è questo: apprezzare le cose semplici. Non ho avuto fortuna con il lavoro, non ho avuto figli e non mi sono sposata come pensavo avrei fatto. Eppure mi sento bene come mai mi è capitato nella vita. Chi lo avrebbe mai detto che avrei trovato il mio equilibrio? Ma che cazz…”
Le grida dei passanti non servirono a metterla in guardia da un’auto, intenta a superare un bus di turisti, che la travolse in pieno. La spezzò in due, lasciandola in coma per dieci mesi.
Pensò sempre ad André e a quella notte d’Aprile. Come in un loop infinito riviveva quell’amore e quei sentori come momento portante della sua vita. Andrè di tanto in tanto era convinto di scorgere un sorriso sul suo volto. Baciò più volte quelle labbra, sperando si risvegliasse come in una fiaba. Ma non accadde e una mattina di Settembre Irene se ne andò, accompagnata dalla sua felicità innocente rimasta intonsa.

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